La Corte di cassazione , con la sentenza in commetto, ha affermato il principio secondo, cui, nel caso di perdita del rapporto parentale, il danno in capo ai familiari superstiti non deve essere considerato  in “re ipsa”, ovvero come sussistente in ogni caso a prescindere da qualsivoglia prova o allegazione.

In questo senso, invero, per economia processuale, le corti territoriali tendono a non  ammette le prove testimoniali che vertano sui rapporti interfamiliari, ritenendo scontato che la perdita del fratello, del figlio, del coniuge, sia sempre fonte di  grave danno morale o esistenziale per i parenti superstiti, dovendosi ritenere che nella ordinarietà delle relazioni umane i parenti stretti siano fra loro legati da vincoli di reciproco affetto e solidarietà, in quanto facenti parte dello stesso nucleo familiare.

Tale impostazione  si fonda sul principio giuridico dell’ “id quod plerumque accidit” (ciò  che accade normalmente).

La Corte di Cassazione ha richiamato invece il principio secondo cui,  “la possibilità di provare per presunzioni non esonera chi lamenta un danno e ne chiede il risarcimento da darne concreta allegazione e prova”.

L’assunto, inverò è stato da tempo enunciato dalla Suprema Corte, la quale ha più volte ribadito che la liquidazione del danno da perdita parentale avviene in base a valutazione equitativa che tenga conto dell’intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza, quale la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti e di ogni ulteriore circostanza di rilievo (cfr. Cass. Sez. 3, 11/11/2003, n. 16946; Cass. Sez. 3, 06/09/2012 n. 14931).

Alla luce di quanto sopra è dunque necessario che il danneggiato, che agisca in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni da perdita del rapporto parentale per la morte di un proprio congiunto, non trascuri assolutamente di formulare istanze di prove orali e produrre  eventuale documentazione atta a dimostrare la sussistenza di un forte  vincolo affettivo con il de cuius.

Appaiono di rilievo, in argomento, le prove per testi volte ad accertare l’eventuale convivenza con la vittima, la condivisione di interessi comuni, le frequentazioni  ricorrenti, i reciproci gesti di solidarietà, quali l’assistenza durante le malattie o  gli aiuti economici.

Quanto alle prove documentali, potrebbe risultare utile la produzione di testamenti, lettere, messaggi, persino video riprese.

Quanto sopra rischia, tuttavia,  di porsi in contrasto con il tentativo, posto in essere dal nostro  legislatore, di accelerare i tempi del processo civile riducendo al minimo le attività processuali.  Proprio in quest’ottica, del resto, come accennato, i magistrati tendono ad evitare un’eccessiva attività istruttoria, dando per acquisita la prova del danno sulla base del semplice rapporto parentale, con il rischio che il giudice superiore  cassi la sentenza per violazione del principio dell’onere probatorio.

Al fine di non incorrere nella decadenza dalle prove è allora indispensabile che il difensore del danneggiato rinnovi sempre, durante il processo di primo grado ed in appello, le proprie istanze istruttorie, volte a provare l’intensità del danno, così che esse potranno essere ammesse nel caso la causa sia rimessa in istruttoria.