In tema di inclusioni delle commissioni di massimo scoperto nella formula per il calcolo del TEG per il periodo anteriore al 2010, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 15188 del 20 giugno 2017, ha rinviato al primo presidente il procedimento in esame per l’eventuale rimessione alle Sezioni Unite.
Il ricorso avanti al giudice di legittimità è stato presentato da un istituto bancario che ha contestato la decisione dei giudici di merito, i quali avevano ritenuto usurario il credito vantato nei confronti di una procedura fallimentare, proprio per via dell’incidenza delle c.m.s. sul TEG, per il periodo precedente al secondo trimestre 2009.
Si ricorda in punto che le Istruzioni di Banca d’Italia, rivolte agli intermediari per la verifica del TEG, escludevano l’inserimento delle c.m.s. sino all’entrata in vigore della Legge 24 gennaio 2009 n.2 che disponeva il contrario.
La Prima Sezione ha rilevato, in argomento, il contrasto giurisprudenziale della Corte stessa emerso a seguito delle sentenze Cass. Civ. 22 giugno 2016 n.12965 e 3 novembre 2016 n.22270.
Nel motivare l’istanza di rinvio alle Sezioni Unite, il relatore ha richiamato l’orientamento prevalente della Corte, affermando che: “Secondo tale orientamento – che fa diretto ed immediato richiamo al tenore della norma dell’art. 1 della Legge 7 marzo 1996 n. 108 (alla vigente norma 604 codice penale), come pure al sistema complessivamente portato dalla legge stessa – è da ritenere del tutto sicuro che l’onere portato dalla c.m.s. esprima un costo del credito; e che, in quanto tale, lo stesso vada inserito nel conto delle voci rilevanti per la verifica dell’eventuale usurarietà dei negozi conclusi nell’autonomia dei privati, così in particolare le sentenze di Cass. Pen 26 Marzo 2010, 12028; Cass. Pen. 22 luglio 2010, n. 28743; Cass. Pen. 23 novembre 2011, n.46669; Cass.Pen. 3 luglio 2014, n.28928; Cass. 4 aprile 2016 n.10516”. Secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, rileva sempre il relatore, la c.m.s. indica, quale costo addossato al debitore, una specifica forma di remunerazione del credito (Cass. 7 marzo 2017 n.5609).
Quanto al richiamo alla giurisprudenza di segno opposto, la prima sezione da ampia contezza delle motivazioni delle richiamate sentenze Cass. Civ. n.12965/16 e n.22270/16, secondo le quali svolge ruolo preminente per l’inquadramento della fattispecie, l’art. 2 bis, comma 2 della Legge 24 gennaio 2009 n.2: “Gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’articolo 1815 del codice civile, dell’articolo 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108”; Detto articolo, lungi dall’essere norma di interpretazione autentica della disciplina legislativa in vigore, costituirebbe norma nuova che assegnerebbe alle commissioni di massimo scoperto, , per la prima volta un ruolo determinante ai sensi dell’art. 644 C.P.. Se si fosse trattato di norma di interpretazione autentica, si legge nelle motivazioni delle succitate sentenze, la legge stessa lo avrebbe dichiarato apertis verbis .
L’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, in ogni caso fa leva sull’interpretazione maggioritaria, affermando invece che l’art. 2 bis comma 2 della Legge 24 gennaio 2009 n.2, “risulta quasi in automatico assumere i tratti della regola di interpretazione autentica dell’art.644 C.P, in quanto puntualizza cosa rientra nel calcolo degli oneri ivi indicati, correggendo una prassi amministrativa difforme”. Conclude il relatore rilevando che, interpretare la norma come introduttiva di un sistema diverso rispetto al precedente, significherebbe attribuirle un inaccettabile valore retroattivo.
Quanto, da ultimo, alla non omogeneità della formula di calcolo del TEG nelle operazioni tra privati e le rivelazioni del TEGM assegnate a Banca d’Italia, il relatore precisa che: a) il contesto della vigente legge anti usura non esplicita una regola di omogeneità dei dati in comparazione, e neppure la suppone in via necessaria; b) le stesse istruzioni di Banca d’Italia sono rivolte esclusivamente alle banche e non attengono ai rapporti tra queste ultime ed i privati; c) le istruzioni di Banca d’Italia non sono fonte di diritti ed obblighi e se si conformano ad una errata interpretazione vanno eluse; d) Banca d’Italia, se pur non inserisce nel TEG le c.m.s., ne dispone la rilevazione separata, atteso che la loro applicazione non è indiscriminata ma relativa solo all’ apertura di credito di conto corrente, con la conseguenza che il dato numerico deve essere preso in considerazione dai singoli istituti ai fini della verifica del TSU (tasso soglia usura) che decidano di applicare ai propri clienti questo ulteriore onere.
Chi scrive auspica che le Sezioni Unite si pronuncino al più presto onde dirimere la controversia che ha chiare ripercussioni in ambito processuale e di merito, creando incertezza tra gli operatori del diritto, atteso che dalla scelta dell’una o dell’altra impostazione dipende il successo o meno di una causa.