Una delle questioni recentemente più dibattute in materia di contenzioso bancario è quella relativa alla legittimazione passiva della banca chiamata in causa dal debitore ceduto (finanziato) a seguito della avvenuta cessione del contratto di finanziamento nell’ambito di un’operazione di cartolarizzazione.
Il caso è dunque quello del debitore (il più delle volte consumatore) che debba promuovere un’azione di nullità del contratto di finanziamento, eccependo l’usura o la violazione di altre norme imperative da parte dell’intermediario con il quale aveva sottoscritto il contratto, passato poi ad altro intermediario a seguito di una o più operazioni di cartolarizzazione del credito.
La scelta del soggetto da convenire in giudizio non è di poco conto; occorre citare la banca creditrice originaria o quella succeduta nel rapporto a seguito della cessione del credito?
Va da sé che apparentemente “come la si fa la si sbaglia”, in quanto è facile che entrambe le banche, per opposte ragioni, eccepiranno la loro carenza di legittimazione passiva.
La scelta più opportuna, almeno sino a quando non vi sarà una uniformità giurisprudenziale, pare essere quella di chiamare in causa l’ultimo intermediario finanziario con il quale il debitore ha avuto a che fare in forza della cessione del suo contratto, soprattutto se il contratto è stato estinto proprio con quest’ultimo soggetto.
Quanto agli aspetti più tecnici, va detto che le banche (facendo perno su una parte minoritaria della giurisprudenza) sostengono che nelle operazioni di cartolarizzazione venga ceduto alla cessionaria solo il “lato attivo” delle obbligazioni, che costituisce un patrimonio separato, per così dire a regime speciale, così che il contraente ceduto non possa sollevare eccezioni o richieste che avrebbe potuto far valere nei confronti del creditore cedente.
Tale interpretazione si fonda sul mancato richiamo da parte dell’art. 4 della Legge 130/1999 (che regola le operazioni di cartolarizzazione) al quinto comma dell’art. 58 TUB, il quale stabilisce che “I creditori ceduti hanno facoltà, entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari previsti dal comma 2, di esigere dal cedente o dal cessionario l’adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione. Trascorso il termine di tre mesi, il cessionario risponde in via esclusiva”.
Tuttavia, giova rilevare che la giurisprudenza di legittimità, tradizionalmente ritenuta maggioritaria, proprio in relazione all’art. 58 del TUB, si è espressa in senso affermativo riguardo alla legittimazione passiva della banca cessionaria del credito, in relazione alle azioni di nullità del contratto di finanziamento e a quelle ripetitorie promosse dal debitore ceduto, affermando il principio della successione a titolo particolare in capo alla banca cessionaria di tutti i rapporti attivi e passivi già originariamente in capo alla cedente.
CARTOLARIZZAZIONE DEL CREDITO
Si veda quanto affermato dal Giudice di legittimità:
“La norma di cui all’art. 58 del testo unico delle leggi in materia bancaria (come già, in precedenza, l’art. 54 r.d.l. 12 marzo 1936 n. 375) prevedendo il trasferimento delle passività al soggetto cessionario della azienda bancaria e non la semplice aggiunta della responsabilità di questo ultimo a quella del cedente, deroga alla norma codicistica di cui all’art. 2560, comma 2, c.c., sulla quale, dunque, prevale in virtù del principio di specialità. Dal semplice fatto della cessione e del decorso del termine di tre mesi dalla pubblicazione prevista dal comma 2 del ricordato art. 58, deriva, pertanto, il trasferimento alla banca cessionaria dei debiti della cedenti compresi nella cessione stessa”. Cassazione civile sez. II, 29/10/2010, n.22199.
Da quanto sopra, discende che il soggetto tenuto alla restituzione delle somme pagate dal debitore in forza di clausole contrattuali nulle è esclusivamente la banca cessionaria del ramo di azienda nell’ambito di operazioni di cartolarizzazione. Si veda ancora Cassazione civile sez. I, 17/07/2012, (ud. 11/05/2012, dep. 17/07/2012), n.12194 [1].
Sulla stessa linea si pone la sentenza Cassazione civile sez. I – 03/12/2019, n. 31571 la quale ha affermato, con riferimento alla cessione di ramo di azienda (cartolarizzazione), che non vi è ragione per escludere che essa comprenda, insieme a tutte le attività e passività aziendali, anche l’obbligazione restitutoria per gli indebiti pagamenti maturati con riferimento a un contratto che si sia poi estinto [2].
Ancora, recentemente, Cassazione civile sez. III – 14/10/2021, n. 28125 la quale così si esprime:
“E’ stato affermato che “in tema di cessione di azienda in favore di una banca, del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 58, nel prevedere il trasferimento delle passività al cessionario, in forza della sola cessione e del decorso del termine di tre mesi dalla “pubblicità notizia” di essa (secondo quanto previsto dello stesso art. 58, comma 2), e non la mera aggiunta della responsabilità di quest’ultimo a quella del cedente, deroga all’art. 2560 c.c., su cui prevale in virtù del principio di specialità” (cfr. Cass. 18258/2014; Cass. 2523/2017)”.
In via generale poi, e a conferma del principio su esposto, giova richiamare quanto affermato dalla giurisprudenza in ordine alle eccezioni proponibili dal debitore ceduto al cessionario del credito: Cass.Civ.sez.III, n. 575/2001; Cass.Civ. 8373/2009
“ A seguito della cessione del credito il debitore ceduto diviene obbligato verso il cessionario allo stesso modo in cui era tale nei confronti del suo creditore originario. Pertanto, potrà opporre al cessionario tutte le eccezioni opponibili al cedente sia quelle attinenti alla validità del titolo costitutivo del credito, sia quelle relative ai fatti modificative ed estintivi del rapporto, anteriori alla cessione o anche posteriori al trasferimento, ma anteriori all’accettazione della cessione o alla sua notifica o alla sua conoscenza di fatto”.
Come si è visto la querelle giurisprudenziale verte sull’interpretazione dell’art. 58 TUB e non può non segnalarsi come recentemente vi siano state almeno due sentenze della Cassazione che, come si è accennato, assumono che, per effetto della legge sulla cartolarizzazione, i contratti e i rami di azienda ceduti vengono a formare nella disponibilità della banca cessionaria un patrimonio separato inattaccabile da azioni che traggano la loro origine da vizi del contratto originario.
Questa interpretazione tende a privilegiare la sicurezza economica degli investitori che hanno acquistato titoli della società cessionaria dei crediti, piuttosto che il diritto dei debitori di far valere fondate ragioni di nullità contrattuale, quali ad esempio quelle derivanti dall’usura e dall’anatocismo, o di richiedere la ripetizione di somme in genere.
Per avere risposte certe in argomento occorrerà attendere lo sviluppo della giurisprudenza e forse le Sezioni Unite della Cassazione.
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Quanto si è detto, ovvero l’eventuale contrasto giurisprudenziale in materia di cartolarizzazione del credito, tuttavia, se vale in generale, non può riguardare il CREDITO AL CONSUMO, ovvero il contenzioso afferente quei rapporti finanziari intercorrenti tra il finanziatore e il consumatore (tra questi i finanziamenti con cessione del quinto dello stipendio, i finanziamenti per l’acquisto di beni di consumo).
In questi casi trova applicazione l’art. 125 septies TUB riguardante proprio la cessione dei crediti, la cui norma asserisce che “In caso di cessione del credito o del contratto di credito, il consumatore può sempre opporre al cessionario tutte le eccezioni che poteva far valere nei confronti del cedente, ivi inclusa la compensazione, anche in deroga al disposto dell’articolo 1248 del codice civile”.
In punto va osservato che il credito al consumo è regolato dalle norme di cui al Titolo VI, Capo II del TUB. Dette norme hanno carattere speciale rispetto alle altre che regolano i rapporti bancari e finanziari; esse sono tali in funzione di una più intensa difesa del consumatore imposta dalle normative comunitarie.
In questo tipo di operazioni creditizie la legittimazione passiva della banca cessionaria del credito è stata sempre uniformemente acclarata dall’Arbitro Bancario Finanziario:
“Il Collegio ritiene di doversi, preliminarmente, pronunciare sull’eccezione di legittimazione passiva sollevata da parte resistente, che ha invocato la sua qualità di mera cessionaria del credito per giustificare la sua carenza di potere in ordine a quanto in questa sede richiesto. Tuttavia, l’eccezione risulta priva di pregio. Infatti, secondo l’orientamento consolidatosi presso questo Collegio, il cessionario del diritto di credito appare pienamente legittimato a contraddire alle richieste della ricorrente. Al riguardo pare il caso di rammentare che l’art. 125-septies (D.Lgs. n. 385/1993, c.d. TUB) e il paragrafo 5.3, sezione VII, delle Disposizioni della Banca d’Italia sulla “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari” affermano la regola – peraltro già contenuta nella vecchia formulazione dell’art. 125, 3° co., TUB. – secondo cui il consumatore, in caso di cessione del credito o del contratto di credito, può sempre opporre al cessionario tutte le eccezioni che poteva far valere nei confronti del cedente, ivi inclusa la compensazione, anche in deroga al disposto dell’art. 1248 c.c. E’ evidente che queste previsioni hanno la finalità di assicurare al consumatore l’integrale mantenimento del livello di tutela di cui originariamente godeva anche a dispetto di eventuali trasferimenti delle posizioni giuridiche soggettive derivanti da specifici rapporti contrattuali (cfr. Collegio di Roma, Decisione n. 3988/15; Collegio di Roma, decisione n. 8843/2015; Collegio di Napoli, decisione 8437/2014). A tale riguardo, tra l’altro, pare il caso di rilevare che nel caso sottoposto all’attenzione di questo Arbitro la quietanza liberatoria è stata rilasciata al ricorrente dallo stesso intermediario resistente. (ABF Decisione N. 415 del 19 gennaio 2017; Collegio di Torino Decisione N. 462 del 10 gennaio 2022; Collegio Napoli Decisione N. 12096 del 03 ottobre 2017).
Del resto la chiarezza della norma di riferimento non può dar adito a discussioni.
L’orientamento dell’ABF si spinge anche a ritenere la legittimazione passiva dell’intermediario, anche quando questi si limiti a prestare l’attività di “servicing” (ovvero di mero recupero del credito) alla quale, pur in assenza di un’operazione di cartolarizzazione, è possibile assimilare il ruolo dell’intermediario ex art. 125 septies, comma 2, t.u.b. (ABF Decisione N. 16033 del 17 settembre 2020).
[1] “A differenza di quanto afferma la ricorrente, la sentenza impugnata, con motivazione adeguata e non illogica, chiarisce che vi fu cessione pro soluto “in blocco” dei rapporti giuridici, e, più specificamente, il rapporto contrattuale tra l’AGRITEC s.a.s. e l’allora Banca De Biase è stato ceduto nella sua interezza; dunque il rapporto ceduto come credito della banca non sarebbe diverso da quello che l’odierna ricorrente deduce invece come fonte di un suo credito. Non sussiste dunque alcuna legittimazione processuale del cedente e, correttamente non è stata disposta integrazione del contraddittorio……. Né si potrebbe affermare che residuerebbe una legittimazione passiva del cedente per la domanda di ripetizione di indebito, stante la cessione, come si è detto del rapporto dedotto in causa nella sua interezza, dal quale una parte fa derivare un debito e l’altra un credito”.
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[2] “Ovviamente si deve trattare di diritti e di obblighi il cui fatto costitutivo si collochi nel periodo anteriore al trasferimento (anche se, ad esempio, la cessione può estendersi ai debiti futuri derivanti dall’azione revocatoria, alle condizioni precisate, da ultimo, da Cass. 28 maggio 2018, n. 13308); e così, nel caso di credito restitutorio per indebiti pagamenti sarà necessario che questi ultimi siano stati posti in essere prima di tale momento (giacchè, diversamente, il debito andrà riferito pur sempre al cessionario, ma non in forza della successione di una posizione debitoria). E’ invece irrilevante che il contratto di conto corrente in cui si inscriveva il diritto alla ripetizione sia cessato anteriormente al trasferimento, giacchè l’estinzione di quella vicenda contrattuale non implica il venir meno del diritto (sempre che, ovviamente, le parti non abbiano inteso disporre in tal senso: ma non è questo il caso). E’ pure ininfluente che il diritto in questione non sia stato fatto valere dall’interessato, giacchè proprio l’art. 58, comma 5 t.u.b. accorda ai creditori ceduti la facoltà, entro tre mesi dagli adempimenti pubblicitari contemplati dal comma 2 cit. articolo, di esigere dal cedente o dal cessionario l’adempimento delle obbligazioni oggetto di cessione, termine trascorso il quale il cessionario risponde in via esclusiva: sicchè l’eventualità di una inerzia del ceduto non è certamente preclusiva della possibilità, da parte del medesimo, di far valere nel tempo successivo alla cessione il diritto nei confronti del cessionario”. Cassazione civile sez. I – 03/12/2019, n. 31571