Con la sentenza in commento il Tribunale di Torino, discostandosi dal recente indirizzo della Cassazione, ha ritenuto che il CTU, nel verificare quali rimesse di conto corrente siano da intendersi solutorie, debba utilizzare il saldo di conto corrente indicato dalla banca al momento del singolo versamento e non quello depurato dagli addebiti illegittimi.

Come è noto, secondo il dettato della Corte di cassazione (Cass. sez. un. 24418/2010), per rimesse “ripristinatorie” si intendono i versamenti sul conto corrente che hanno lo scopo di ripristinare l’affidamento, ovvero diminuire l’esposizione nell’ambito del fido; tali versamenti non hanno natura di pagamento di un debito, in quanto il correntista può disporre liberamente dell’importo del fido sino alla sua revoca o scadenza. Diversamente, i versamenti effettuati dal correntista per coprire la sua posizione debitoria in assenza di fido, o nel caso di prelievi fuori fido, hanno natura “solutoria” in quanto mirano ad estinguere un debito. Solo queste ultime operazioni sono soggette alla prescrizione decennale, in quanto le azioni ripetitorie di una somma non dovuta all’accipies sono prescrittibili secondo le norme codicistiche.

Recentemente, con sentenza del 19.5.2020 n. 9141, la Cassazione ha affermato che “per verificare se un versamento effettuato dal correntista nell’ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente abbia avuto natura solutoria o solo ripristinatoria, occorre, all’esito della declaratoria di nullità da parte dei giudici di merito delle clausole anatocistiche, previamente eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall’istituto di credito e conseguentemente determinare il reale passivo del correntista e ciò anche al fine di verificare se quest’ultimo ecceda o meno i limiti del concesso affidamento” [1].

Questa impostazione è certamente più favorevole al correntista, in quanto, una volta espunti gli addebiti irregolari della banca e accertata una inferiore esposizione di conto corrente, è facile che molte rimesse ritenute solutorie dalla banca, perché extrafido, diventino ripristinatorie e quindi non soggette alla prescrizione.

A parere del Tribunale di Torino, tuttavia, tale impostazione della Suprema Corte non pare condivisibile in quanto” finché la registrazione dell’addebito fondato su un titolo nullo “non è riconosciuto dalla banca, o accertato giudizialmente, e il conteggio non è conseguentemente rettificato, il saldo elaborato dalla banca ha effetto anche nei confronti del cliente”.

Quindi, secondo il Tribunale di Torino, la possibilità di impugnare l’illegittimità degli addebiti non restituisce al versamento sul conto scoperto l’effetto di ripristinare la disponibilità, anziché di ridurre puramente e semplicemente l’esposizione debitoria, poiché la nullità del titolo non toglie che il denaro sia uscito dalla sfera di controllo del cliente. In definitiva, afferma il Tribunale: “Il principale punto critico di Cass. 9141/2020 è questo: non è possibile rimettere il giudizio sulla qualificazione della rimessa, se pagamento o ripristino di disponibilità, “all’esito della declaratoria di nullità”, poiché “la disponibilità” idonea a impedire lo spostamento patrimoniale consiste nella concreta conservazione del potere di disporre di una somma di denaro e non può che essere verificata sulla base della situazione dichiarata esistente al tempo in cui il versamento è eseguito. Che a distanza di oltre dieci anni si scopra che il c/c era attivo o entro i limiti del fido non toglie che il cliente, nell’intervallo, abbia perduto la disponibilità della somma versata e che l’abbia perduta al tempo stesso del versamento”.

Tale impostazione del giudice monocratico potrebbe non essere seguita da altri magistrati del Tribunale, come pure è possibile che la decisione, in punto, sia impugnata in sede di appello con richiamo alla suindicata decisione della Corte di legittimità.


[1]Proprio per sterilizzare l’effetto della capitalizzazione, la Corte d’Appello ha correttamente recepito il percorso ricostruttivo del CTU, il quale, dopo aver eliminato gli addebiti indebiti, ha ricalcolato separatamente sia gli interessi intrafido che quelli extrafido, ricongiungendoli “al saldo capitale alla chiusura del conto o alla prima rimessa dopo la scadenza dell’affidamento.  La Banca ricorrente ritiene erroneamente che, per ottenere l’effetto della irripetibilità del pagamento indebito rispetto al quale è maturata la prescrizione, nel procedere alla rideterminazione del saldo del conto corrente ed alla individuazione delle rimesse solutorie, si debbano mantenere le indebite annotazioni effettuate dallo stesso istituto di credito. E’, invece, evidente che per verificare se un versamento effettuato dal correntista nell’ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente abbia avuto natura solutoria o solo ripristinatoria, occorre, all’esito della declaratoria di nullità da parte dei giudici di merito delle clausole anatocistiche, previamente eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall’istituto di credito e conseguentemente determinare il reale passivo del correntista e ciò anche al fine di verificare se quest’ultimo ecceda o meno i limiti del concesso affidamento. L’eventuale prescrizione del diritto alla ripetizione di quanto indebitame nte pagato non influisce sulla individuazione delle rimesse solutorie, ma solo sulla possibilità di ottenere la restituzione di quei pagamenti coperti da prescrizione”.