Il Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario e Finanziario è tornato a pronunciarsi sul tema dell’onere di trasparenza dei costi del contratto di finanziamento, il cui mancato assolvimento da parte degli intermediari finanziari comporta l’applicazione dell’art. dell’art. 125-bis, co. 6 e 7 del TUB, ovvero il ricalcolo, a favore del cliente, degli interessi al tasso dei Buoni Ordinari del Tesoro.
Nel proprio ricorso all’ABF, assegnato al Collegio di Roma, il mutuatario lamentava la circostanza che il costo del premio della polizza CPI (credit protection insurance) non fosse stato inserito nell’indicatore sintetico dei costi contrattuali (TAEG), così da essere falsata la percezione dell’effettivo costo del finanziamento.
La società finanziaria aveva sostenuto la tesi secondo cui, trattandosi di polizza non obbligatoria, il premio assicurativo non dovesse essere preso in considerazione al fine del calcolo del TAEG, così che, a suo dire, il ricorso doveva essere respinto.
Il Collegio di Roma, nel rimettere il ricorso al collegio di Coordinamento, aveva, da un lato, respinto la tesi dell’intermediario finanziario sulla non obbligatorietà della polizza assicurativa del credito [1], dall’altro aveva tuttavia sollevato diverse questioni di diritto con riferimento “ai rimedi applicabili in caso di non corretto inserimento del TAEG”, solo in parte esaminate da precedenti decisioni del Collegio di Coordinamento.
Aveva infatti rilevato che il TAEG non costituisce un tasso di interesse o una specifica condizione economica, ma ha una funzione informativa, finalizzata a mettere in condizione il consumatore di conoscere il costo del prestito prima di accedervi, così che non ha alcuna funzione di regola di validità del contratto.
In questo senso, in caso di errata indicazione del TAEG, secondo il Collegio romano non si dovrebbero applicare i commi 6 e 7 dell’art. 125 bis TUB, e quindi la sanzione di nullità della clausola afferente i tassi ed i costi del finanziamento ed il ricalcolo degli interessi al tasso BOT; tuttalpiù il mutuatario potrebbe proporre azione risarcitoria, qualora dimostrasse che dalla mancata trasparenza del contratto gli sia derivato un danno economico accertabile.
La sanzione della nullità, peraltro, secondo il Collegio rimettente, sarebbe eccessiva e sproporzionata, atteso le direttive comunitarie se pur lasciano la scelta delle sanzioni alla discrezionalità degli Stati membri, precisano, comunque, che “le sanzioni debbano essere effettive, proporzionate e dissuasive (cfr. art. 23, direttiva 2008/48/CE).
Il Collegio di coordinamento, con la decisione in commento, rigettando le argomentazioni del Collegio di Roma e richiamando le proprie precedenti decisioni (Collegio di coordinamento n. 1430/2016 – n. 9070/2017 – 10621/2017) ha invece messo in evidenza, come l’apparato rimediale previsto in tema di credito al consumo preveda sicuramente, in caso di mancanza di informazioni rimedi invalidativi.
Ciò che rileva, assume il Collegio di Coordinamento, è che il TAEG non offra un’informazione corretta al consumatore o manchi del tutto, in nessuna di queste ipotesi il rimedio può essere meramente risarcitorio. Né, afferma il Collegio, appare corretta la tesi secondo cui in caso di mancato inserimento di un costo nel TAEG andrebbe applicato il solo comma 6 dell’art.125 bis TUB (nullità del solo costo non inserito) e non il comma 7 che prevede il ricalcolo del TAEG al costo nominale minimo dei BOT emessi all’epoca [2].
Quanto all’assunto del Collegio rimettente secondo cui la sanzione della nullità degli interessi sarebbe sproporzionata, non allineandosi alle indicazione delle direttive europee, il Collegio di coordinamento ha richiamato, a contrario, la decisione della Corte di Giustizia del 9 Novembre 2016, causa C-42/15, con la quale in un caso analogo (Legge n.129/2010, dell’ordinamento slovacco, e prevedeva, in caso di non corretta indicazione del TAEG a scapito del consumatore, che il credito concesso fosse considerato esente da interessi e spese) ha stabilito che l’articolo 23 della direttiva 2008/48 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro preveda, nella sua normativa nazionale, che, qualora un contratto di credito non menzioni tutti gli elementi richiesti dalle direttive europee, tale contratto sia considerato esente da interessi e spese, sempreché si tratti di un elemento la cui assenza possa rimettere in discussione la possibilità per il consumatore di valutare la portata del proprio impegno. In nessun modo, dunque, si può dire che l’art. 23 della Direttiva possa ostare alla lettura dei commi 6 e 7 dell’art. 125 – bis del Tub offerta dal Collegio di Coordinamento già nel 2016.
Il Collegio, accogliendo il ricorso del consumatore, ha pertanto accertato il mancato inserimento del costo assicurativo nel TAEG, ritenendo che l’intermediario debba rideterminare il piano di ammortamento – ai sensi della disciplina vigente all’epoca della stipula del contratto – e debba restituire alla parte ricorrente l’eccedenza percepita, maggiorata degli interessi legali da calcolarsi con riferimento alle date dei singoli incassi.
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[1] Secondo la giurisprudenza di questo Illl.mo Arbitro Bancario (Collegio di coordinamento) è consentito al ricorrente assolvere l’onere della prova della obbligatorietà del contratto assicurativo attraverso presunzioni gravi precise e concordanti desumibili dal concorso delle seguenti circostanze:
- che la polizza abbia funzione di copertura del credito;
- che vi sia connessione genetica e funzionale tra finanziamento e assicurazione, nel senso che i due contratti siano stati stipulati contestualmente e abbiano pari durata;
- che l’indennizzo sia stato parametrato al debito residuo
L’intermediario finanziario può invece contrastare il valore probatorio delle su richiamate presunzioni, ancor più rilevanti quando il contraente e beneficiario sia stato lo stesso intermediario e a questo sia stata attribuita una significativa remunerazione per il collocamento della polizza, fornendo elementi di prova di segno contrario attinenti alla fase di formazione del contratto, in particolare documentando, in via alternativa: di aver proposto al ricorrente una comparazione dei costi (e del TAEG) da cui risulti l’offerta delle stesse condizioni di finanziamento con o senza polizza; ovvero di avere offerto condizioni simili, senza la stipula della polizza, ad altri soggetti con il medesimo merito creditizio; ovvero che sia stato concesso al ricorrente il diritto di recesso dalla polizza, senza costi e senza riflessi sul costo del credito, per tutto il corso del finanziamento’.
[2] “I commi 6 e 7 sono rappresentativi della medesima regola per la quale alcuni costi (nella specie i premi di polizze assicurative obbligatorie), se fanno giuridicamente parte integrante del costo complessivo del credito, devono essere necessariamente inseriti nel TAEG in modo che il cliente consumatore possa comparare con avvedutezza le varie offerte del mercato e orientarsi consapevolmente nella scelta del soggetto mutuante. La violazione di tale regola ha il suo pendant indefettibile nella circostanza che tali costi, non venendo inclusi nel TAEG, sono maliziosamente, o semplicemente per errore di diritto, indicati separatamente nel contratto quasi che fossero delle voci di costo facoltative. Si tratta in realtà di due facce della stessa medaglia. E la conseguenza è (non può non essere) che è nulla la clausola relativa al costo in sé considerata, onde nulla è dovuto per tale titolo, ma è anche nulla la clausola relativa al TAEG che non ha previsto quel costo: ipotesi per la quale il comma 7 prevede una forma di integrazione legale del contratto con applicazione del tasso nominale sostitutivo (“il TAEG equivale al tasso nominale dei BOT o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministero dell’Economia emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto”). Non a caso il comma 7, richiamando proprio i casi, previsti nel comma 6, in cui cioè nel contratto è indicato un costo che illegittimamente non è stato incluso nel TAEG (assenza) ovvero che vi è stato incluso in modo scorretto, parla rispettivamente di assenza o di nullità delle “relative” clausole e dispone che per ciò stesso il TAEG equivalga al tasso” nominale dei BOT. Diversamente opinando, dovrebbe pervenirsi a una vera e propria aporia: considerare in pari tempo nulla la clausola che prevede un costo che per legge doveva essere incluso nel TAEG e valida la clausola del TAEG che illegittima mente non lo ha previsto. Pertanto, considerando che analoga conseguenza ortopedica era applicabile per i consumatori … in virtù di quanto previsto dall’art.124 comma 5 allora vigente …discende da quanto detto che … la nullità della controversa clausola relativa al TAEG deve comportare, così come richiesto dal ricorrente, l’applicazione del tasso legale sostitutivo”.