La terza sezione della Cassazione Civile, con la sentenza n. 1361/2014, aveva dichiarato risarcibile agli eredi della vittima di omicidio colposo il danno da morte propria del loro congiunto. Ciò a prescindere dalla circostanza che l’evento morte fosse sopraggiunto a distanza di tempo dalle lesioni patite.
La sentenza costituiva un autentico revirement rispetto all’orientamento della Cassazione, risalente alla nota sentenza 372/1994 che ha ritenuto non risarcibile il “bene vita” in se stesso, ma soltanto il danno alla salute o il danno morale patito dalla vittima nel lasso di tempo intercorrente tra l’evento lesivo e la morte.
Invero la sentenza 1361/2014 aveva ampiamente motivato le ragioni per cui, disatteso il precedente orientamento, si dovesse procedere alla liquidazione del danno conseguente alla perdita della vita.
La Terza Sezione, tra le altre argomentazioni, aveva ritenuto che, benché in linea di principio sia risarcibile il solo “danno conseguenza” e non il “danno evento”, l’evento morte sia assorbente e costituisca la massima espressione di danno che l’uomo possa subire “ La morte ha per conseguenza la perdita non già solo di qualcosa bensì di tutto,. Non solo di uno dei molteplici beni, ma del bene supremo, la vita, che tutto il resto racchiude. Non già di qualche effetto o conseguenza, bensì di tutti gli effetti e conseguenze……Non si tratta quindi di verificare quali conseguenze conseguano al danno evento, al fine di stabilire quali siano risarcibili e quali no. Nel più sta il meno.” .
Non così è stato ritenuto dalla recente decisione delle Sezioni Unite, le quali hanno ricondotto la questione nel solco delle precedenti decisioni.
La principale argomentazione della sentenza in esame è che la “Vita” sarebbe un bene fruibile solo in natura, insuscettibile di essere integrato per equivalente, a differenza della compromissione del bene “Salute”.
A sommesso parere del deducente, l’argomento non convince: la salute non è un bene tangibile così come la vita, sia la salute che la vita sono fruibili solo in natura. Se si può ritenere ristorabile il danno celebrale di gravissima entità, che di fatto travolge la vita riducendola a minimi termini, non si vede perché non possa aversi il risarcimento per equivalente in caso di perdita della vita stessa. Che poi il danneggiato deceduto non ne consegua diretto beneficio, ma unicamente i suoi eredi, è altra questione.
Le Sezioni Unite affrontano l‘argomento richiamando il principio secondo cui, se la morte è immediata, non vi è tempo a che si consolidi, in capo al danneggiato, il diritto al risarcimento. Dal momento che il danneggiato non è più in vita non può acquisire il diritto al risarcimento; il pensiero degli Ermellini corre ad Epicuro, se c’è la morte non vi è più la vita e viceversa, con gli effetti giuridici che ne derivano e si riflettono sul diritto degli eredi di ricevere il risarcimento del loro congiunto.
Invero allo scrivente questa centrale petizione di principio, volta dimostrare l’impossibilità del risarcimento del danno da privazione della vita per mancanza del beneficiario del risarcimento stesso, sa di paralogismo.
Invero è stato acutamente rilevato che, se in uno scontro automobilistico si verifica la distruzione di beni materiali appartenenti alla vittima dell’incidente, gli eredi di quest’ultima acquisiscono il diritto al risarcimento per equivalente del valore dei beni andati distrutti, anche se la vittima è deceduta sul colpo e non ha avuto, stando al ragionamento delle Sezioni Unite, il tempo di acquisire il diritto al risarcimento del proprio danno patrimoniale .
Sulla base della precedente osservazione, appare naturale che il diritto al risarcimento da privazione della vita si concretizzi in capo alla vittima al momento della morte, sic et simpliciter.
Ancora non pare convincente il ragionamento delle Sezioni Unite, secondo cui la difesa del bene vita trova sufficiente tutela nelle norme penali, senza che sia prevista necessariamente una sanzione civile a carico di chi abbia commesso omicidio colposo, indirizzata al risarcimento da morte propria. Tale impostazione confligge infatti con i principi di tutela della vita presenti nella Carta Costituzionale.
Quanto all’assunto prospettato dalla citata sentenza della Terza Sezione nel 2014, secondo cui andava diversamente affrontata la discussione sul danno da morte propria in funzione dell’evolversi del “sentire sociale”, la Cassazione, nella sua massima compagine, ha ritenuto che il sentire sociale deve condurre, se mai, ad un cambiamento legislativo e non interpretativo.
Invero, in punto, lo scrivente ricorda, in materia di responsabilità civile, alcuni revirements della Cassazione giustificati, a livello di motivazione, anche con richiamo all’evoluzione del sentire sociale (es. danno subito dal trasportato – trasporto contrattuale e trasporto di cortesia). Da sempre infatti la giurisprudenza di legittimità (pur in aderenza alle norme ed ai principi del diritto) ha tenuto conto del progresso etico-giuridico della società; basti considerare che la figura del “danno biologico” è stata invenzione giurisprudenziale prima che normativa e che il “danno da contatto sociale” è tutt’ora figura meramente giurisprudenziale.
In conclusione, lo si afferma in modo provocatorio, l’apertura della Terza Sezione sembra per ora archiviata e le compagnie di assicurazione possono trarre un sospiro di sollievo.