Piero Calamandrei scriveva che “dalla lettura  di certe pagine di romanzi, nelle quali si descrivono con linguaggio profano i congegni della giustizia in azione, è assai spesso possibile trarre un’idea precisa, meglio che da una critica fatta in gergo tecnico e in stile cattedratico, del modo in cui la realtà reagisce sulle leggi e della loroinadeguatezza a raggiungere nella vita pratica gli scopi per i quali il legislatore crede di averle create”.

A leggere le parole dell’insigne e grandissimo Calamandrei, uno dei padri della nostra Costituzione, mi corrono alla mente le pagine di due romanzi straordinari di Lev Tolstoj: “Resurrezione” e “La morte di Ivan Il’ic”.In entrambi i romanzi lo scrittore descrive la pochezza del sistema giudiziario e la meschinità di giudici e avvocati, accecati da pregiudizi sociali e impigriti da un sistema routinale privo di spinta etica. Ecco allora che quanto affermato da Calamandrei può servire da guida, se non da monito, per chi esercita il diritto. Occorre allora che il giurista, qualunque ruolo eserti, operi con l’ausilio di adeguati strumenti non solo tecnici, ma letterari e filosofici.

Chip pratica professionalmente il diritto non può infatti limitarsi agli aspetti tecnici e specialistici della materia, ma deve, a mio avviso, rapportare il proprio “fare” a qualcosa di più ampio e significativo. Quanto agli avvocati, va ricordato che essi svolgono un ruolo sociale di rilievo, in quanto, attraverso le lotte intraprese per la difesa dei diritti individuali e collettivi, sono strumento di cambiamento della società.

In questo senso recentemente sta assumendo rilievo l’iniziativa del Ministro della Giustizia e del Consiglio Nazionale Forense volta ad introdurre la figura dell’avvocato, quale garante del diritto di difesa, nella Carta Costituzionale.