(Art. 1, Dichiarazione delle Nazioni Unite sull’Eliminazione della Violenza contro le Donne, Vienna, 1993).
Si definisce violenza di genere “ogni atto legato alla differenza di sesso che provochi o possa provocare un danno fisico, sessuale, psicologico o una sofferenza della donna, compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o l’arbitraria privazione della libertà sia nella vita pubblica che nella vita privata”
Personalmente ritengo che la “giornata contro la violenza sulle donne” rischi di essere recepita come una sorta di commemorazione, come avviene in altri casi. Essa deve invece costituire momento di riflessione, indignazione e reazione ad una situazione di endemica mondiale e storica ingiustizia sociale.
Occorre in particolare che le nuove generazioni abbiano ben chiaro, e facciano proprio, il concetto di lotta permanente, abbracciato dalle giovani femministe degli anni settanta. Molto è cambiato da allora, almeno in Europa, tuttavia la strada verso la completa parità dei diritti è ancora lunga.
Accennando al concetto di lotta permanente, non intendo richiamare alla memoria immagini nostalgiche e vintage, come quelle del manifesto che pubblico, ma riferirmi alla necessità di una costante tensione etica verso “l’alto”.
La democrazia non è altro che una condizione politico-sociale in continua evoluzione e involuzione; così che anche i diritti delle donne (espressione che per sé stessa è già rappresentativa della disuguaglianza tra i sessi) sono influenzati dalle alterne vicende della storia, subendo tutti i pericoli scaturenti da politiche reazionarie, come quelle che contraddistinguono l’attuale momento.