LA CONCAUSA NELLA RESPONSABILITA’ CIVILE E MEDICA

La figura giuridica del concorso causale (o concausa) riveste particolare importanza nell’ambito della responsabilità civile.

La concausa è la causa che con altre ha concorso a determinare l’evento.

Infatti un determinato evento, oggetto di disamina sotto il profilo della responsabilità dell’agente (colui che ha agito colposamente), può verificarsi per il concorso di diversi fattori umani, ad esempio la condotta del responsabile e la concomitante condotta del danneggiato stesso, come pure per il concorso tra la condotta umana e fattori naturali.

Il primo caso si ha quando il danneggiato, con il suo comportamento imprudente o illecito, abbia concorso al verificarsi dell’evento dannoso la cui responsabilità sia comunque ascrivibile ad un terzo.

Il secondo  si verifica spesso, ma non solo, in ambito di responsabilità sanitaria, quando la condotta colposa omissiva o commissiva del medico si pone in rapporto di causalità in concomitanza di altri fattori naturali, quali le preesistenti condizioni di salute precarie del malato o l’insorgere di ulteriori complicanze o patologie.

In questo caso si afferma che la condotta del medico si sia posta in termini di concausa rispetto al verificarsi del danno subito dal paziente (decesso, peggioramento delle condizioni di salute, lesioni).

La norma di riferimento è l’art. 40 cp, applicabile anche in sede civile : “Il concorso di cause preesistenti simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra la azione od omissione e l’evento”.

La giurisprudenza di merito e di legittimità si è interrogata sugli effetti della summenzionata norma sotto il profilo della eventuale gradazione della responsabilità in capo a chi abbia determinato colposamente un evento verificatosi anche per via di altre cause.

La Corte di Cassazione, pronunciatasi recentemente in materia di responsabilità medica, è giunta alla considerazione che, in presenza di più cause che abbiano determinato un evento lesivo, non si possa invocare alcuna riduzione di responsabilità, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di cause concorrenti può instaurarsi soltanto in una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non tra una causa umana imputabile ed una concausa naturale  non imputabile (così, ex plurimis,  Cass. civ.sez.II 28/03/2007 n.7577; Cass.civ. sez. lav. 9/04/2003 n.5539; Cass. civ. 21/07/2011 n.15991).

In particolare, la sentenza 15991/2011[1]  ha chiarito come non vadano confusi diversi nessi di causalità: quello della causalità materiale, afferente la condotta illecita del medico, e quello della causalità giuridica afferente il danno.

Quanto al primo,  la Corte afferma che o il nesso di causa c’è, o manca, senza che sia possibile una graduazione in percentuale .

Pertanto, quand’anche il medico abbia con la propria condotta o omissione fornito un contributo causale, anche solo dell’1% alla produzione del danno, il quale è dovuto, per il resto, al concorso di cause naturali, egli dovrà comunque rispondere per intero

Negli stessi termini si è pronunciata la sentenza della Corte di Cassazione civile, sez. III, 13/05/2008,  n. 11903, secondo la quale  “qualora l’evento dannoso si ricolleghi a più azioni o omissioni, il problema del concorso delle cause trova soluzione nell’art. 41 c.p. – norma di carattere generale, applicabile nei giudizi civili di responsabilità – in virtù del quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra dette cause e l’evento, essendo quest’ultimo riconducibile a tutte”.

In particolare, afferma ancora la Corte, in riferimento al caso in cui una delle cause consista in una omissione, la positiva valutazione sull’esistenza del nesso causale tra omissione ed evento presuppone che si accerti che l’azione omessa, se fosse stata compiuta, sarebbe stata idonea ad impedire l’evento dannoso, ovvero a ridurne le conseguenze, e non può esserne esclusa l’efficienza soltanto perché sia incerto il suo grado di incidenza causale.” (conformi   Cassazione civile, sez. III, 02/02/2010,  n. 2360; Cassazione civile, sez. III, 06/05/2015,  n. 8995.

Negli stessi termini, con riferimento alla responsabilità da infezione nosocomiale, si veda anche la recente sentenza Cassazione Civ. n.8995/2015 [2].

In argomento è reperibile facilmente su internet la Relazione n.157 del 4 settembre 2012 dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Cassazione: “La responsabilità civile e penale del chirurgo nella giurisprudenza di legittimità”). Ove il relatori Consiglieri Luigi Cuomo e Marco Rossetti presentano un preciso ed esaustivo excursus della materia con richiamo alla segnalata giurisprudenza.

Va rilevato che anche la giurisprudenza giuslavorista, riferibile ai casi di violazione dell’art. 2087 c.c. [3] da parte del datore di lavoro, si pone negli stessi termine in presenza di fatto illecito datoriale che abbia concausato un evento lesivo in presenza di altre concause naturali. Sul punto si veda la datata sentenza Cass.Civ. sez. lav. del 5 novembre 1999, n. 12339 [4] e più recentemente Cass.Civ.sez.lav. 17022/2006 [5]

Posto quanto sopra relativamente alla causalità materiale, e quindi alla responsabilità dell’agente, sotto il profilo della causalità giuridica le concause  assumono rilievo in termini di entità del risarcimento. Infatti, “le pregresse condizioni di salute del paziente, e più in generale il concorso di concause naturali alla produzione del danno, vengono in rilievo nel momento della liquidazione del danno: più esattamente, nella selezione, tra tutte le conseguenze provocate dall’errore medico, delle sole che siano giuridicamente risarcibili, quali conseguenze immediate e dirette dell’illecito ai sensi dell’art. 1223 c.c. In la circostanza che il paziente fosse comunque affetto da una malattia grave, od addirittura incurabile, non vale di per sé ad escludere la sussistenza d’un danno risarcibile, nel caso di errore del chirurgo (vuoi per omessa diagnosi, vuoi per imperita esecuzione dell’intervento), quando per effetto di tale errore: (a) il paziente abbia trascorso la parte terminale della sua vita in condizioni peggiori di quelle in cui si sarebbe altrimenti trovato, oppure (b) sia andata perduta dal paziente anche solo la chance di vivere alcune settimane od alcuni mesi in più, rispetto a quelli poi effettivamente vissuti (Cass. 18.9.2008 n. 23846).” (già citata Relazione n.157/2012 Corte di Cassazione).

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[1]  “Laddove la condotta sia idonea alla determinazione (anche solo parziale) dell’evento pregiudizievole lamentato e sì prospetti una questione circa l’incidenza di una causa naturale, non possono che aversi due alternative: o è certo che il fattore naturale sia tale da escludere del tutto il nesso di causa, oppure sì deve ritenere che il danneggiante/debitore non abbia fornito la prova della causa non imputabile, con conseguente riconducibilità, in termini di responsabilità tout court, della lesione della salute o della vita alla condotta colpevole”.     

“Tale dimensione di analisi non può, peraltro, in alcun modo condurre, nella disamina della causalità materiale, ad operazioni di apporzionamento/frazionamento della responsabilità risarcitoria, ….onde, nel caso di specie, la misura dell’evento dannoso imputabile ai ritardi diagnostici e terapeutici dei sanitari rispetto alle patologie pregresse  (…….) è vicenda che non rileva al fini dell’imputazione della responsabilità, -a tal fine rilevando, viceversa, che la condotta illecita sia stata fonte dell’evento dannoso lamentato”

[2] “ La sentenza n. 15991/2011 ha affermato, tra l’altro, che sia nell’ambito della responsabilità contrattuale sia in quello della responsabilità aquiliana, “laddove la condotta sia idonea alla determinazione (anche solo parziale) dell’evento pregiudizievole lamentato (il mancato raggiungimento del risultato esigibile nel caso concreto), e si prospetti una questione circa l’incidenza di una causa naturale, non possono che aversi due alternative: o è certo che il fattore naturale sia tale da escludere del tutto il nesso di causa, oppure si deve ritenere che il danneggiante/debitore non abbia fornito la prova della causa non imputabile, con conseguente riconducibilità, in termini di responsabilità tout court, della lesione della salute o della vita alla condotta colpevole.” Cass. civ.  n.8995/2015

[3] L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro [Cost. 37, 41]

 [4]Con il secondo motivo il ricorrente, denunziando «violazione dell’art. 2043 c.c. e 40 e 41 c.p. e dei principi di diritto in ordine alla irrilevanza delle concause naturali antecedenti (o degli “antecedenti condizionanti”) nella riferibilità dell’illecito e nella misura del risarcimento», censura la sentenza impugnata per avere, in adesione alla consulenza tecnica di secondo grado, escluso che il danno provocato dalla patologia cardiaca fosse imputabile in ragione dei 100 per cento al comportamento illegittimo della società Ansaldo, avendo riconosciuto quale concausa o antecedente condizionante una «aterosclerosi coronarica» con efficacia causale per due terzi, e per avere in tal modo violato i principi per i quali, come pure affermato nella giurisprudenza di questa Corte, una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non già tra una causa umana imputabile e una causa naturale non imputabile.  Assume quindi, in base a tali principi, doversi addebitare nella intera misura alla società Ansaldo la responsabilità del danno biologico (e quindi in misura tripla rispetto a quella riconosciuta nella specie del Tribunale) provocato dalla patologia cardiaca.    Questo motivo è fondato e va accolto.  Deve invero anche nel caso di specie, sul punto della rilevanza causale del comportamento illecito accertato dal giudice del merito a carico della società datrice di lavoro nella determinazione del danno cardiaco riscontrato sul Rasile, essere osservato il criterio, affermato dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di concause dell’evento dannoso (alcune naturali e altre costituite da comportamento umano imputabile), secondo cui «alla stregua dei principi di cui agli artt.. 40 e 41 c.p., regolanti il rapporto di causalità in tema di responsabilità extracontrattuale, solo nel caso in cui le condizioni ambientali e i fattori naturali che caratterizzano la realtà fisica su cui incide il comportamento imputabile dell’uomo, si palesano sufficienti a determinare l’evento di danno indipendentemente dell’apporto del comportamento umano imputabile, l’autore dell’azione o della omissione resta sollevato per intero da ogni responsabilità dell’evento, non avendo posto in essere alcun antecedente dotato in concreto di efficienza causale, senza ‘che in caso contrario la sua piena responsabilità per tutte le conseguenze scaturenti secondo normalità dall’evento medesimo possa subire una semplice riduzione proporzionale in ragione della minore gravità della sua colpa, in quanto una comparazione del grado di incidenza eziologica di più cause concorrenti può instaurarsi soltanto tra una pluralità di comportamenti umani colpevoli, ma non già tra una causa umana imputabile e una concausa naturale non imputabile» (Cass.  1° febbraio 1991 n. 981; 27 maggio 1995 n. 5924).

 [5]  “Anche in materia di responsabilità civile del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti – sia contrattuale, come nella specie (in tal senso, vedi, per tutte, Cass. sez. un. 6572/06), sia extracontrattuale – trova applicazione la regola (di cui all’art. 41 cp.), secondo cui – essendo il rapporto causale, tra condotta ed evento, governato dal principio dell’equivalenza delle condizioni – deve essere riconosciuta efficienza causale a ogni antecedente che abbia contribuito alla produzione dell’evento – anche in maniera (indiretta o remota e, comunque) concausale – salvo il temperamento (previsto dallo stesso art. 41 cp., cit.) – in forza del quale il nesso eziologico è interrotto dalla sopravvenienza di un fattore, da solo sufficiente a produrre interrotto dalla sopravvenienza di un fattore, da solo sufficiente a produrre l’evento, tale da far degradare le cause antecedenti a semplici occasioni – con la conseguenza che – secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedine, per tutte, le sentenze nn. 17959,15107/05, 5014/04, 12377/03) – l’efficienza causale della condotta del datore di lavoro è, da sola, sufficiente a radicarne la responsabilità civile – per l’intero danno, che ne consegua – nonostante il concorso di concause (fatto salvo, tuttavia, il ridimensionamento proporzionale del risarcimento, ai sensi dell’art. 1225 cc, nel caso di concorso del fatto colposo del danneggiato).