L’omessa o errata diagnosi è probabilmente il caso più ricorrente della malpractice medica.
Si tratta, nel primo caso, della condotta del medico che di fronte ad evidenti sintomi di una determinata patologia non la individua e quindi omette la prescrizione medico/farmaceutica necessaria. L’omissione può consistere anche solo nel non prescrive più approfonditi esami specialistici al fine di poter escludere la presenza di una malattia.
Il secondo caso riguarda il medico che sbaglia la diagnosi per negligenza, non avendo approfondito il caso, o per imperizia, non essendo stato in grado di valutare correttamente i sintomi della malattia, quando questi erano del tutto evidenti.
Normalmente incorrono in questo genere di errore per omissione i medici di famiglia e i medici di pronto soccorso; nonostante essi siano il più delle volte medici di maturata competenza e professionalità, può accadere infatti che, per il numero elevato di pazienti visitati e per lo stress dovuto alle condizioni in cui sono spesso costretti ad esercitare, dovendo sopperire alle lacune del sistema sanitario nazionale, omettano o sbaglino la diagnosi.
La fattispecie tipica è quello dell’omessa diagnosi di una patologia tumorale.
In casi simili il medico risponderà dell’aggravamento della patologia se viene dimostrato che una pronta diagnosi avrebbe portato alla guarigione del paziente o a conseguenze meno gravi e quindi ad una maggiore aspettativa di vita. Se poi il paziente decede, il medico sarà ritenuto responsabile dell’evento nel caso in cui si dimostri che le cure avrebbero ragionevolmente portato alla guarigione.