La Corte di Cassazione, in tema di responsabilità medica si è nuovamente pronunciata sul tema della complicanza; argomento più volte affrontato dagli Ermellini (Cass. III sez. 29 settembre 2009 n. 20806).
Nella sentenza in commento la Suprema Corte ha inteso sottolineare che il concetto di complicanza, così come considerato in campo medico e medico legale, non può essere adottato in modo equivalente in diritto.
In medicina, precisa la Corte, con il lemma complicanza si designa solitamente un evento dannoso, insorto nel corso dell’iter terapeutico, che pur essendo astrattamente prevedibile, non sarebbe evitabile, tuttavia detto concetto appare inutile sul piano giuridico.
Si legge nella sentenza:
“Quando, infatti, nel corso dell’esecuzione di un intervento o dopo la conclusione di esso si verifichi un peggioramento delle condizioni del paziente, delle due l’una:
– o tale peggioramento era prevedibile ed evitabile, ed in tal caso esso va ascritto a colpa del medico, a nulla rilevando che la statistica clinica lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze”,
– ovvero tale peggioramento non era prevedibile, oppure non era evitabile: ed in tal caso esso integra gli estremi della “causa non imputabile” di cui all’articolo 1218 c.c [1]., a nulla rilevando che la statistica clinica non lo annoveri in linea teorica tra le “complicanze”.
Quindi, al diritto importa poco se l’evento danno possa rientrare statisticamente tra le complicanze, interessa solo se quell’evento integri gli estremi della “causa non imputabile” [2].
Sotto il profilo della prova, non rileva dunque se il danno patito dal paziente dipenda da complicanza, rileva principalmente se il medico ha svolto il proprio intervento seguendo scrupolosamente le leges artis [3].
Spetta al medico superare la presunzione che le complicanze siano state determinate da omessa o insufficiente diligenza, o da sua imperizia [4].
I principi espressi e nuovamente richiamati dalla Suprema Corte sono quindi due.
Il primo che in caso di danno causato da prestazione medica si verte in tema di responsabilità contrattuale (valevole anche in caso di approccio tra paziente e struttura sanitaria pubblica), con la conseguenza, sul piano dell’onere della prova, che spetta al medico dimostrare ex art. 1218 C.C. di ver correttamente eseguito la propria prestazione; il secondo, che l’insorgere di una complicanza non prevedibile o non prevenibile può costituir causa non imputabile o caso fortuito solo nella misura in cui il medico abbia provato di essere esente da colpa.
Dunque il giudice potrà far discendere l’evento da complicanza, solo una volta che il medico abbia fornito la prova di aver rispettato le leges actis.
Del resto il caso fortuito ha rilevanza giuridica là dove l’evento sia riconducibile ad un elemento esterno non superabile con l’adeguata diligenza; qualora la diligenza non vi sia stata, l’indagine si arresta alla circostanza del mancato superamento della presunzione di responsabilità.
In questo senso si è espressa la giurisprudenza di merito del Tribunale di Milano secondo cui, allorquando il medico (o la struttura ospedaliera) ha provato di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione, il paziente non può invocare l’art. 1218 c.c., il quale presuppone l’inadempimento. Il medico, in questo caso, non ha neppure l’obbligo di dare la prova del caso fortuito, onere in cui incorre, invece, qualora non abbia assolto correttamente la propria obbligazione [5] .
Semplificando: se il medico prova di avere eseguito correttamente l’intervento deve essere ritenuto esente da colpa, in difetto può ancora essere scagionato se prova che l’evento è dipeso comunque da fattore imprevedibile e imprevenibile e non dalla sua condotta.
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[1] Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile
[2] “Al diritto non interessa se l’evento dannoso non voluto dal medico rientri o no nella classificazione clinica delle complicanze: interessa solo se quell’evento integri gli estremi della “causa non imputabile”: ma e’ evidente che tale accertamento va compiuto in concreto e non in astratto. La circostanza che un evento indesiderato sia qualificato dalla clinica come “complicanza” non basta a farne di per se’ una “causa non imputabile” ai sensi dell’articolo 1218 c.c.; cosi’ come, all’opposto, eventi non qualificabili come complicanze possono teoricamente costituire casi fortuiti che escludono la colpa del medico”. Cassazione civile, sez. III 30 giugno 2015, n. 13328 – Pres. Spirito – Est. Rossetti.
[3] “ – o il medico riesce a dimostrare di avere tenuto una condotta conforme alle leges artis, ed allora egli va esente da responsabilita’ a nulla rilevando che il danno patito dal paziente rientri o meno nella categoria delle “complicanze”;
– ovvero, all’opposto, il medico quella prova non riesce a fornirla: ed allora non gli giovera’ la circostanza che l’evento di danno sia in astratto imprevedibile ed inevitabile, giacche’ quel che rileva e’ se era prevedibile ed evitabile nel caso concreto”. Cassazione civile, sez. III 30 giugno 2015, n. 13328 – Pres. Spirito – Est. Rossetti.
[4] “Ribadito infatti che se la prestazione professionale e’ di routine spetta al professionista superare la presunzione che le complicanze sono state determinate da omessa o insufficiente diligenza professionale, o da imperizia, o da inesperienza o inabilita’ dimostrando che invece sono sorte a causa di un evento imprevisto ed imprevedibile secondo la diligenza qualificata in base alle conoscenze tecnico – scientifiche del momento (Cass. III sez. 29 settembre 2009 n. 20806 conformi Cass. 2042/2005, 24791/2008, 975/2009).”
[5] “Allorquando il medico (o la struttura ospedaliera) ha provato di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione, e cioè di aver rispettato tutte le norme di prudenza, diligenza e perizia, i protocolli e le linee-guida più accreditate nel proprio settore di competenza, il paziente non può invocare l’art. 1218 c.c., neppure in presenza di un acclarato peggioramento delle proprie condizioni di salute in rapporto di causalità con la prestazione sanitaria. L’art. 1218 c.c. infatti presuppone l’inadempimento dell’obbligazione assunta, inadempimento che non sussiste quando vi è in concreto la prova positiva dell’adoperata diligenza. Consegue altresì che il medico diligente, cioè adempiente, non è neppure gravato dall’onere della prova del caso fortuito, vale a dire dell’evento imprevisto e imprevedibile che abbia determinato l’insuccesso o l’inutilità della prestazione sanitaria; tale onere presuppone infatti, in applicazione dell’art. 1218 c.c., non il mero insuccesso, ma l’insuccesso determinato da inadempimento dell’obbligazione assunta” . Tribunale Milano sez. V 22 aprile 2008 n. 40662