Cassazione civile, sez. III, 20/05/2016, n. 10414 [1]

La terza sezione della Cassazione è tornata recentemente sull’argomento del consenso informato nel campo della responsabilità medica, ribadendo l’autonoma risarcibilità del danno cagionato dalla mera mancata acquisizione del consenso informato del paziente in ordine all’esecuzione di un intervento chirurgico. Ciò a prescindere dall’esito positivo dell’intervento stesso.

Il concetto espresso più volte da giudici di legittimità (Cass.civ., n. 2468/2009 –   Cass.civ. n. 2847/10 –   Cass.civ. n. 12205/15)  è quello secondo cui i danni non patrimoniali astrattamente risarcibili, purché derivanti da una lesione di apprezzabile gravità, possono essere di duplice natura:

1) quelli conseguenti alla lesione del diritto all’autodeterminazione del paziente;

2) quelli conseguenti alla lesione del diritto all’integrità psico-fisica del paziente, tutelato dall’art. 32 Cost..

Quanto al primo profilo, la Corte ha più volte affermato che l’omissione dell’informazione costituisce una  privazione della libertà di autodeterminazione del paziente circa la sua persona, in quanto preclusiva della possibilità di esercitare tutte le opzioni relative all’espletamento dell’atto medico e di beneficiare della conseguente diminuzione della sofferenza psichica, senza che detti pregiudizi vengano in alcun modo compensati dall’esito favorevole dell’intervento (Cass. n. 12205/2015).

E’ stato quindi rilevato che l’inadempimento dell’obbligo di informazione assume rilievo anche in assenza di un danno alla salute non ricollegabile alla lesione del diritto alla informazione, tutte le volte che siano configurabili per il paziente  conseguenze pregiudizievoli sotto il profilo non patrimoniale di una certa gravità, sempre che il danno non sia futile e dunque consistente in meri disagi (Cass.civ.2847/2010).

Quanto al secondo profilo, ovvero relativamente alla  risarcibilità del danno da lesione della salute che si verifichi per le non imprevedibili conseguenze dell’atto terapeutico necessario e correttamente eseguito, ma tuttavia effettuato senza la preventiva informazione del paziente, si è più volte ribadito in giurisprudenza  (Cass.civ. n. 2847/10 – Tribunale Milano 27/01/2015), la necessità da parte del paziente, di provare la circostanza che avrebbe rifiutato l’intervento se fosse stato adeguatamente informato, con l’ulteriore precisazione che “il relativo onere probatorio, suscettibile di essere soddisfatto anche mediante presunzioni, grava sul paziente: (a) perché la prova di nesso causale tra inadempimento e danno comunque compete alla parte che alleghi l’inadempimento altrui e pretenda per questo il risarcimento; (b) perché il fatto positivo da provare è il rifiuto che sarebbe stato opposto dal paziente al medico; (c) perché si tratta pur sempre di stabilire in quale senso si sarebbe orientata la scelta soggettiva del paziente, sicché anche il criterio di distribuzione dell’onere probatorio in funzione della “vicinanza” al fatto da provare induce alla medesima conclusione; (d) perché il discostamento della scelta del paziente dalla valutazione di opportunità del medico costituisce un’eventualità che non corrisponde all’id quod plerumque accidit” (Cass.civ. n. 2847/10).

Relativamente all’”ampiezza” dell’informazione che il medico deve fornire al paziente, la sentenza in commento ha affermato che il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, impone che quest’ultimo fornisca al paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l’intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità ed eventuali conseguenze, sia pure infrequenti, col solo limite dei rischi imprevedibili, ovvero degli esiti anomali, al limite del fortuito, che non assumono rilievo secondo l'”id quod plerumque accidit”, in quanto, una volta realizzatisi, verrebbero comunque ad interrompere il necessario nesso di casualità tra l’intervento e l’evento lesivo (Cass. n. 27751/2013).

La nozione è assai rilevante, in quanto, l’aver taciuto una complicanza che, se pur non prevenibile, sia comunque prevedibile anche in percentuale molto bassa, costituisce violazione giuridicamente rilevante.

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[1]E’ principio consolidato di questa Corte che in tema di attività medico-chirurgica, è risarcibile il danno cagionato dalla mancata acquisizione del consenso informato del paziente in ordine all’esecuzione di un intervento chirurgico, ancorché esso apparisse, “ex ante”, necessitato sul piano terapeutico e sia pure risultato, “ex post”, integralmente risolutivo della patologia lamentata, integrando comunque tale omissione dell’informazione una privazione della libertà di autodeterminazione del paziente circa la sua persona, in quanto preclusiva della possibilità di esercitare tutte le opzioni relative all’espletamento dell’atto medico e di beneficiare della conseguente diminuzione della sofferenza psichica, senza che detti pregiudizi vengano in alcun modo compensati dall’esito favorevole dell’intervento (Cass. n. 12205/2015).

Infatti in materia di responsabilità per attività medico- chirurgica, il consenso informato, inteso quale espressione della consapevole adesione al trattamento sanitario proposto dal medico, impone che quest’ultimo fornisca al paziente, in modo completo ed esaustivo, tutte le informazioni scientificamente possibili riguardanti le terapie che intende praticare o l’intervento chirurgico che intende eseguire, con le relative modalità ed eventuali conseguenze, sia pure infrequenti, col solo limite dei rischi imprevedibili, ovvero degli esiti anomali, al limite del fortuito, che non assumono rilievo secondo l'”id quod plerumque accidit”, in quanto, una volta realizzatisi, verrebbero comunque ad interrompere il necessario nesso di casualità tra l’intervento e l’evento lesivo (Cass. n. 27751/2013).

L’acquisizione del consenso informato del paziente, da parte del sanitario, costituisce prestazione altra e diversa rispetto a quella avente ad oggetto l’intervento terapeutico, di talchè l’errata esecuzione di quest’ultimo dà luogo ad un danno suscettibile di ulteriore e autonomo risarcimento rispetto a quello dovuto per la violazione dell’obbligo di informazione, anche in ragione della diversità dei diritti rispettivamente, all’autodeterminazione delle scelte terapeutiche ed all’integrità psicofisica – pregiudicati nelle due differenti ipotesi. (Cass. n. 2854/2015).”