Corte di Appello di Torino, prima sez. civ. 2-9 luglio 2009

Il Tribunale di Torino ha escluso il rapporto di pregiudizialità tra il provvedimento di ammissione alla procedura concordataria e quello decisorio sull’istanza di fallimento. Pertanto il Tribunale deve “gestire” entrambi i procedimenti, non soltanto sino all’ammissione al concordato, ma sino alla sua eventuale omologa, solo quest’ultima, infatti fa venir meno la condizione di fallibilità.

La Corte condivide, avendolo essa stessa più volte affermato, in particolare Corte di Appello di Torino 17 luglio 2008, il principio ormai di indiscussa acquisizione, di un rapporto di pregiudizialità necessaria fra concordato preventivo e fallimento. Il rapporto tra le due procedure in esame non si configura più, pertanto, in termini di interdipendenza, ossia tali da subordinare la trattazione del procedimento per dichiarazione di fallimento all’avvenuta definizione di quello per concordato preventivo (così da comportare l’avvenuta ammissione dell’imprenditore alla procedura di concordato preventivo l’improcedibilità delle istanze di fallimento nei suoi confronti, salva sempre la possibilità, non preclusa, di proposizione del conflitto di competenza tra tribunali diversi, davanti all’uno aperta la prima ed all’altro pendenti le seconde, come in particolare ritenuto da: Cass. 17 settembre 1993, n.9581, in  Fall., 1994, 49).

Non ricorre certamente un’ipotesi di pregiudizialità necessaria,    per la non sovrapponibilità delle situazioni esaminate nelle due distinte procedure di fallimento e di concordato (con richiamo al riguardo dell’insegnamento in particolare espresso da: Cass. 8 febbraio 2011, n. 3059, essendo istituto eccezionale, che incide in termini limitativi rispetto all’esercizio del diritto di azione e pertanto applicabile soltanto quando la situazione sostanziale dedotta nel processo pregiudicante rappresenti il fatto costitutivo di quella dedotta nella causa pregiudicata (ipotesi non ricorrente nel caso in esame). AI contrario, il rapporto tra concordato preventivo e fallimento é stato configurato quale fenomeno di conseguenzialità (eventuale del fallimento, all’esito negativo della procedura di concordato) e di assorbimento (dei vizi del provvedimento di rigetto in motivi di impugnazione del successivo fallimento), determinante una mera esigenza di coordinamento fra i due procedimenti; con la conseguenza ulteriore che la facoltà per il debitore di proporre una procedura concorsuale alternativa al suo fallimento non rappresenta un fatto impeditivo alla relativa dichiarazione (così, nella linea interpretativa in particolare di: Cass. 24 ottobre 2012, n. 18190,  ma una semplice esplicazione del diritto di difesa del debitore, non legittimato alla disposizione unilaterale e potestativa dei tempi del procedimento fallimentare, così determinando la paralisi delle iniziative recuperatorie del curatore ed incidendo negativamente sul principio costituzionale della ragionevole durata del processo. Sicché la conseguenzialità logica tra le due procedure non si traduce dunque anche in una conseguenzialità procedimentale, ferma restando la connessione fra l’eventuale decreto di rigetto del ricorso per concordato e la successiva conseguenziale sentenza di fallimento, anche se non emessa contestualmente al primo provvedimento, dovendosi in tal caso farsi valere i vizi del decreto mediante l’impugnazione della sentenza di fallimento.

Se allora, come appena dimostrato, né alcuna norma positiva, né i principi generali in materia fondano un rapporto di pregiudizialità tra le procedure in esame, esso deve essere escluso non soltanto nella fase preparatoria della domanda, ma in ogni fase successiva del procedimento, anche di avvenuta ammissione, fino alla sua cessazione, per effetto della sua omologazione, ai sensi dell’art. 181 I. fall. Soltanto con la formazione di un tale giudicato é, infatti, definitivamente rimosso (salve le ipotesi di risoluzione o di annullamento) lo stato di crisi (in esso inteso anche lo stato di insolvenza, ai sensi dell’art. 160, secondo comma I. fall.) e pertanto viene meno il presupposto oggettivo per la dichiarazione di fallimento.