Il consenso informato è la manifestazione della adesione “consapevole” al trattamento sanitario proposto dal medico; si tratta di un diritto che trova il suo fondamento nell’ art. 2 della Costituzione, il quale tutela  i diritti fondamentali della persona, nonché negli artt. 13 e 32.  Il primo garantisce l’inviolabilità della libertà  personale, il secondo sancisce che nessuno può essere sottoposto a trattamento sanitario se non per legge.

Ancora i principi di riferimento sono ravvisabili nella seguenti fonti normative: L. n. 219 del 2005, art. 3; la L. n. 40 del 2004, art. 6; L. n. 833 del 1978, art. 33, nonché art. 29 del Codice di Deontologia medica il quale sancisce che “il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito ed informato del paziente”.

Il consenso informato si esprime nell’ambito di una procedura durante la quale il medico fornisce al paziente informazioni sulla diagnosi e sulle prospettive terapeutiche anche alternative, nonché sui rischi insiti nel trattamento.

Benché il consenso informato normalmente comporti la sottoscrizione di un modulo, tuttavia non deve consistere in un mero formalismo; le informazioni devono essere ampie ed il medico deve accertare che il paziente abbia compreso quanto riferitogli. Pertanto l’informazione deve essere commisurata alla situazione sociale ed al livello culturale ed intellettuale del paziente; essa deve essere comprensibile, veritiera,  obbiettiva ed esaustiva [1].

Quanto al consenso, esso deve essere manifestato in modo consapevole, personale, e manifesto, deve essere preventivo e revocabile [2].

Il consenso informato è espressione della autodeterminazione del paziente ed il diritto alla autodeterminazione è cosa diversa dal diritto alla salute. La giurisprudenza di legittimità ha infatti più volte sostenuto che la lesione del diritto del paziente a scegliere liberamente se, ed in quale modo, sottoporsi alle cure, è pregiudizio autonomo che prescinde dall’eventuale risultato positivo della cura e quindi dalla guarigione [3].   Il medico non ha infatti il diritto di decidere la cura o l’intervento al posto del paziente [4].

Il paziente, per non essere stato posto nelle condizioni di esprimere il proprio consenso, può subire due distinti danni.

Il danno alla salute, quando l’intervento  ha avuto ripercussioni negative (nonostante la correttezza della sua esecuzione) ed il paziente è in grado di dimostrare che, se correttamente informato, non avrebbe espresso il consenso.

Il danno da lesione del diritto alla autodeterminazione, quando invece il paziente ha riportato un pregiudizio economico o non patrimoniale che prescinde dalla lesione della salute.

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In questo solco va letta la recente sentenza della III sezione della Suprema Corte n.12205/2015.

Il caso è quello di una donna che era stata sottoposta ad intervento chirurgico di asportazione di cisti ovarica; in relazione a detta operazione la paziente aveva dato il proprio consenso.  Tuttavia, durante l’intervento i clinici avevano riscontrato la presenza di un adenocarcinoma, peraltro confermato anche successivamente dagli esami bioptici, ed avevano ritenuto di eseguire una laparatomia, una isterectomia totale, una anessectomia bilaterale, una appendicectomia ed omentectomia.

La paziente aveva convenuto in giudizio la ASL richiedendo il risarcimento dei danni patiti in conseguenza della violazione del suo diritto all’autodeterminazione, avendo subito un intervento “demolitorio” in vece della semplice rimozione della ciste ovarica ed assumendo che, se fosse informata, avrebbe eventualmente deciso, previ i dovuti approfondimenti, di essere operata presso altro nosocomio specializzato.

Il Tribunale di Chieti e la Corte di Appello di l’Aquila avevano respinto le domande attoree sul presupposto della insussistenza di profili di responsabilità professionale dei convenuti, compreso quello relativo alla asserita responsabilità per la violazione dell’obbligo del consenso informato.

Il giudice di secondo grado rigettava infatti l’appello rilevando che “la prestazione sanitaria era stata eseguita con diligenza, prudenza e perizia, non essendovi alternative all’intervento chirurgico prescelto ed essendo stato lo stesso condotto con esito pienamente positivo, consistente nella totale guarigione della paziente. . Invero, alla luce di quanto sopra evidenziato, deve ribadirsi che l’intervento chirurgico praticato dai sanitari italiani sulla D.S., non solo si era rivelato, ex ante, l’unica scelta terapeutica possibile alla luce delle risultanze degli esami di laboratorio praticati contestualmente successivamente allo stesso, ma si era altresì rivelato, ex post, particolarmente efficace, consentendo, unitamente al successivo intervento praticato dai medici francesi, la totale eliminazione del male e la piena guarigione della paziente. Il pregiudizio morale e biologico, consistente nella sofferenza connessa all’intervento e nella perdita della capacità riproduttiva, costituiscono il doloroso e consapevole sacrificio reso necessario dall’esigenza di prevenire un danno peggiore ed irreparabile ed integrano gli ineluttabili effetti collaterali di una scelta terapeutica assolutamente obbligata.”

Con ricorso al Giudice di legittimità, il difensore della paziente aveva censurato la motivazione della sentenza pronunciata della Corte di Appello rilevandone il palese contrasto con la giurisprudenza di Cassazione e quindi la violazione dei richiamati artt. artt. 2, 13 e 32 Cost. nonché della L. 23 dicembre 1978, n. 833, art. 33 (legge istitutiva del servizio sanitario nazionale).

La Suprema Corte ha accolto i motivi del ricorso cassando la sentenza della Corte di Appello, sia nella parte in cui ha ritenuto che un consenso fosse stato prestato, sia nella parte in cui, pur per il caso che consenso non vi fosse stato, ha escluso che si configurasse un illecito da violazione del diritto al consenso informato della paziente per il fatto che l’intervento eseguito sulla sua persona si fosse rivelato utile

I presupposti di diritto richiamati dagli ermellini sono i seguenti:

– la paziente, pur avendo dato il proprio consenso ad effettuare una tipologia di intervento diverso da quello programmato, se mai se ne fosse ravvisata la necessità, non aveva acconsentito all’esecuzione di un intervento di diversa natura come quello devastante poi subito;

– non vi era alcuna ragione di urgenza che richiedesse il diverso intervento demolitorio messo in atto dai medici, in quanto per la paziente non sussisteva alcun pericolo di vita. Pertanto i sanitari avrebbero dovuto acquisire il consenso della paziente posticipando l’eventuale intervento;

– la circostanza che l’intervento effettuato avesse conseguito risultati positivi per la salute della paziente e risolutivi della patologia, non escludeva l’illecita violazione del consenso informato per omessa informazione [5];

– dalla condotta omissiva dei medici sono derivati in capo alla paziente danni consistenti nella sofferenza per la contrazione della libertà di disporre di sé, nonché nella lesione di natura biologica di una parte del corpo;

– ad annullare il diritto al risarcimento del danno da violazione del consenso ad operare, nell’ipotesi di esito positivo dell’intervento, non giova il richiamo la principio della compensatio lucri cum damno, perché il principio trova applicazione unicamente quando sia il pregiudizio che l’incremento patrimoniale siano conseguenza del medesimo fatto illecito. Nel caso in esame, i beni tutelati sono diversi, ovvero il diritto alla salute ed il diritto alla autodeterminazione[6] .

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[1] In dottrina:  Pellegrino “Consenso informato e distorsioni conoscitive”. Giuffré 2010.

[2] In dottrina:  Vignali “Il contratto di assistenza sanitaria e la protezione del minore” Giuffré 2010

[3] Cass. Civ. 10741/2009 – Cass.Civ. 18513/2007 – Cass. Sez. Unite 577/2008 – Cass.Civ. 11950/2013 -Cass. civ., sez. III, sentenza 12 giugno 2015, n. 12205

[4] “Non è attribuibile al medico un generale “diritto di curare”, a fronte del quale non avrebbe alcun rilievo la volontà dell’ammalato che si trovasse in una condizione di soggezione, su cui il medico potrebbe, ad libitum , intervenire con il solo limite della sua coscienza” Domenico Chindemi – Responsabilità del medico e della struttura sanitaria pubblica e privata- Altalex 2014

[5] “Si ricorda, al riguardo che l’origine e, quindi, la doverosa dimensione funzionale e le implicazioni del consenso informato bene sono state delineate da Cass. n. 21748 del 2007, nel senso che: “Il consenso informato costituisce, di norma, legittimazione e fondamento del trattamento sanitario: senza il consenso informato l’intervento del medico è, al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità, sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente; la pratica del consenso libero e informato rappresenta una forma di rispetto per la libertà dell’individuo e un mezzo per il perseguimento dei suoi migliori interessi”.

[6] “E la ragione è palese: il bene tutelato con riferimento al procedere senza acquisizione del consenso informato è la libertà di autodeterminazione circa il proprio stato psico-fisica. Quello tutelato con riferimento all’esecuzione dell’attività medica è la salute, cioè la condizione psico-fisica del soggetto come tale. Se i beni tutelati sono diversi la compensazione non può operare, ma semmai l’esito favorevole sulla salute verrà in evidenza ai fini di liquidare il danno derivato dalla lesione del diritto al consenso informato: nell’operazione di stima del danno non patrimoniale sofferto (tali sono i danni conseguenza da lesione del diritto all’autodeterminazione) si terrà conto dell’incidenza sulla salute dell’intervento eseguito”.