Riguardo alla fattispecie dell’usura nei contratti bancari/finanziari, risulta di particolare interesse la questione della validità della clausola contenuta nella transazione intercorsa tra l’intermediario finanziario ed il cliente mutuatario, che statuisca la rinuncia di quest’ultimo a sollevare in futuro ulteriori pretese, rispetto a quelle transate.

Dette clausole sono per prassi inserite dagli intermediari finanziari negli atti transattivi stipulati in occasione del ripianamento della posizione debitoria del cliente, o negli accordi di estinzione anticipata del finanziamento, ove vengono regolate le rispettive posizioni di dare e avere. Esse, mirano ad impedire al cliente di eccepire successivamente e nei termini prescrizionali eventuali anomalie contrattali, come principalmente l’usurarietà degli interessi.

Un esempio potrebbe essere il seguente: “le parti non avranno più alcunché a pretendere, per qualsivoglia ragione o titolo, con riferimento alla controversia di cui in premessa, rinunziando ad ogni pretesa dedotta o deducibile che possa trovare origine o fondamento nei fatti o rapporti che ne hanno formato oggetto comunque connessi al contratto di prestito”.

La condotta dell’intermediario, che utilizzasse una simile metodologia commerciale per evitare di dover dar conto dell’usurarietà del contratto, si appaleserebbe come lesiva del principio di buona fede contrattuale, già di per sé violato attraverso la pregressa applicazione degli stessi interessi usurari.

In ogni caso il mutuatario, in riferimento alla fattispecie dell’usura, avrebbe comunque la possibilità di far dichiarare in sede contenziosa la nullità della clausola ex art. 1418 – 1421 c.c.. Infatti le norme anti usura sono norme imperative e, come tali, non derogabili, così che una transazione volta a impedire la contestazione dell’usurarietà del tasso di interessi è nulla.

L’art. 1418, co.1, c.c. prevede infatti la nullità dei contratti (e delle clausole contrattuali) contrari a norme imperative e, come affermato dalla giurisprudenza, la norma antiusura di cui alla Legge n. 108 del 1996 è norma imperativa [1].

Le norme imperative sono invero quelle disposizioni di legge che, per la loro importanza, non possono essere derogate dalle parti; la contrarietà alle norme imperative determina l’illiceità di un negozio giuridico.

Le disposizioni imperative si caratterizzino per un quid pluris idoneo a distinguerle dalla generalità delle disposizioni cogenti; esse sono volte a tutelare l’interesse generale della collettività o tutelare gli interessi facenti capo a specifiche categorie di soggetti, latori di peculiari esigenze di protezione. Le norme imperative attinenti ai rapporti patrimoniali, in quanto inderogabili, rendono anche indisponibili i diritti che da esse derivano.

Volendo esemplificare quanto affermato, si può richiamare il caso in cui al lavoratore venisse fatta sottoscrivere una clausola di rinuncia ai diritti sanciti dai contratti collettivi; tale clausola sarebbe palesemente nulla ed il lavoratore avrebbe comunque la possibilità di far valere i propri diritti.

Così, nel caso in esame, il mutuatario non può validamente rinunciare a far valere, in sede penale o civile, il proprio diritto di contestazione dell’usurarietà degli interessi pagati al mutuante.

Tale principio è stato affermato più volte dall’Arbitro Bancario: “La transazione che intervenga tra l‘intermediario ed il cliente in occasione della chiusura di un rapporto di conto corrente e connesso affidamento, con la quale tra le altre pattuizioni si stabilisca che il cliente rinunci ad ogni possibile eccezione relativa alla tenuta del conto corrente con particolare riferimento alle metodologie di liquidazione e computo degli interessi applicati dalla banca fin dall’inizio del rapporto, è valida nei limiti in cui non contrasti con norme imperative (Collegio di Milano, decisione n. 1495 del 2010, Infatti, l’art. 1972, 1° comma, c.c. stabilisce che «è nulla la transazione relativa a un contratto illecito, ancorché le parti abbiano trattato della nullità di questo”  (Decisione N. 2346 del 14 aprile 2014).

Si consideri, sempre in tema di cogenza delle norme imperative, v’è un orientamento giurisprudenziale incline ad ammettere la possibilità per il debitore mutuatario di propone opposizione all’esecuzione intrapresa dalla banca in forza di un titolo esecutivo passato in giudicato (decreto ingiuntivo non opposto), qualora il debitore contesti la non debenza di interessi usurari (Trib. Monza, ord. 07.07.2015, Trib. di Pordenone sent. 07.03.2012, già Trib. Reggio Calabria, 04.02.04).

Secondo la menzionata giurisprudenza, la rilevanza penale e l’imperatività delle norme antiusura legittimano il riconoscimento di un principio assoluto che impone di non dar corso alla dazione di interessi usurari, neppure sulla base di un titolo passato in giudicato.

Costante è poi la giurisprudenza relativa alla sospensione dell’esecuzione forzata qualora il titolo contestato per usurarietà sia il contratto di mutuo fondiario, esecutivo a norma dell’art. 474 c.p.c.

Così pure l’art. 4 Legge 23 febbraio 1999 n. 44 accorda alle vittime del delitto di usura l’applicabilità della sospensione dell’esecuzione forzata.

Quindi, se l’imperatività delle norme anti usura consente al debitore di contestare la debenza degli interessi, anche in presenza di un titolo esecutivo, a maggior ragione si deve ritenere che tale possibilità debba valere, anche e soprattutto, in caso di un accordo contrattuale invalido, perché contrario a norma imperativa.


[1]  “Prevedendo che se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi, tale norma imperativa – prospetta il motivo – non si limita a sancire la sola nullità della clausola, ma dispone altresì (si noti l’uso dell…” Cassazione civile sez. III, 09/11/2020, (ud. 20/07/2020, dep. 09/11/2020), n.24992

Chiede quindi alla Corte che risponda al quesito se il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo determini l’inapplicabilità della L. n. 108 del 1996 in relazione al tasso di interessi convenzionale e di mora superiori al limite di legge (norma imperativa antiusura) contenuta nel decreto stesso”. Cassazione civile sez. III, 08/05/2015, (ud. 08/01/2015, dep. 08/05/2015), n.9298

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Si deve ancora osservare che una clausola di rinuncia a far valere l’usurarietà del contratto di mutuo, inserita in una transazione  predisposta dall’intermediario finanziario (contraente forte) e sottoscritta per adesione dal consumatore, si  potrebbe appalesare come nulla ai sensi dell’art.33, Comma 1 del Codice dei Consumatori, il quale recita: “Nel contratto concluso tra il consumatore ed il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.

Infatti. il più delle volte le transazioni “di fine rapporto” tra intermediario finanziario e cliente non statuiscono rinunce da parte della banca, ma mere dilazioni di pagamento per il cliente, così che, in caso di rinuncia da parte di quest’ultimo all’impugnazione dell’usurarietà del contratto di mutuo/finanziamento, si verificherebbe lo squilibrio di cui all’art.33 C.d.Consumo.